Carukia barnesi

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Carukia barnesi Medusa Irucangi Cubomedusae Carybdeidae
                                                                 
Carukia barnesi: Medusa Irukandji: Cubomedusa della famiglia Carybdeidae.

Classificazione scientifica:
Regno: Animalia
Phylum: Cnidaria
Classe: Cubozoa
Ordine: Cubomedusae
Famiglia: Carybdeidae
Genere: Carukia
Specie: Carukia barnesi Southcott, 1967

In una Carukia barnesi, l'esombrella è alta da 12 a 25 mm. Possiede quattro tentacoli contraibili, che variano in lunghezza da 5 cm ad 1 m.

Specie di meduse comunemente note come meduse Irukandji. Si sospetta che anche altre specie di Cubozoa possano causare la sindrome di Irukandji, ma si hanno dei riscontri scientifici di ciò soltanto per quanto riguarda 8 specie di medusa (oltre alla Carukia barnesi le altre sono: Malo kingi, Alatina mordens, Carybdea alata, Malo maxima, Carybdea xaymacana, l'ancora non meglio identificata fire jelly ed un'ultima ancora senza nome).

Sono meduse di piccole dimensioni ed estremamente velenose, che si trovano soprattutto presso le coste australiane. Non vanno confuse con un'altra specie di Cubozoa, il Chironex fleckeri, che può causare la morte, ma non la Sindrome di Irukandji.

La puntura di una medusa Irukandji causa dei sintomi che sono noti come Sindrome di Irucangi. Sono stati documentati per la prima volta da Hugo Flecker nel 1952 ed è stata chiamata come la popolazione degli Irukandji, che vive nella zona costiera settentrionale del Cairns. La prima delle due specie ad essere scoperta, la Carukia barnesi, è stata identificata nel 1964 dal Dr. Jack Barnes; per provare che questo animale era la causa della Sindrome di Irukandji, ne catturò un minuscolo esemplare e si lasciò pungere assieme a suo figlio e ad un bagnino.

Come altre meduse, le Irukandji sono dotate di pungiglioni (nematocisti) non solo sui tentacoli (dove sono disposti a grappolo ed assomigliano a gocce d'acqua), ma anche sulla "esombrella". In più, il veleno è diffuso solo a partire dalla punta delle nematocisti, piuttosto che dall'intera lunghezza. Ciò accade perché la parte iniziale è più debole, e si verifica soltanto una reazione ritardata mentre il veleno fa effetto.

Si sa poco sul ciclo di vita e sul veleno delle Meduse Irukandji. In parte questo è dovuto alle loro piccole dimensioni, ed alla loro fragilità, che non consente di conservarle in normali bocce per pesci o in acquari. Il loro corpo è così fragile ed inconsistente che l'impatto con le pareti di un normale contenitore in vetro le ucciderebbe. I ricercatori ritengono che il veleno possegga una forza sufficiente a stordire in modo immediato le prede delle meduse Irukandji, che sono pesci piccoli e veloci. In base a calcoli statistici, si crede che la Sindrome di Irukandji possa essere causata da molte specie di medusa, ma soltanto per la Carukia barnesi e per la Malo kingi si hanno dei riscontri scientifici di ciò.

La Sindrome di Irukandji è causata da una quantità molto ridotta di veleno e produce dolori a varie parti del corpo (tipicamente crampi ai muscoli crociati di braccia e gambe, intenso dolore alla schiena ed ai reni, e sensazioni simili a quelle causate da delle ustioni alla pelle ed in particolare al viso), emicrania, nausea, insonnia, sudorazione accentuata, vomito, tachicardia e ipertensione arteriosa. Dal 2007 il Solfato di magnesio viene usato per trattare la Sindrome di Irukandji. La puntura in sé è solo moderatamente irritante; i sintomi veri e propri si manifestano dopo un lasso di tempo compreso tra 5 e 120 minuti (in media 30). Essi possono perdurare da ore fino ad intere giornate ed il pericolante può aver bisogno di ricovero ospedaliero. L'applicazione di aceto sulla parte di pelle aggredita riesce a disattivare eventuali nematocisti ancora presenti. Non esistono antidoti per il veleno qualora esso fosse già entrato in circolazione.

Se trattata correttamente, una singola puntura non è di solito fatale, ma dopo la morte di due persone in Australia, in seguito appunto ad una di queste punture, è cresciuta la paura nell'opinione pubblica. Il numero di decessi dovuti alla Sindrome, ed attribuiti erroneamente ad altre cause, è sconosciuto.